COLESTEROLO: DAVVERO DA DEMONIZZARE?

Statine e integrazione di vitamina D

Statine per Abbassare il Colesterolo

Oggi si fa spesso una guerra spietata al colesterolo, con diete ipo lipidiche e ipocaloriche, che attraverso la pubblicità fanno guerra al colesterolo, ma davvero è giustificato questo tutto questo terrore nei confronti di questa molecola? in realtà il colesterolo è una molecola essenziale per la vita: andiamo a vedere le sue straordinarie funzioni.

LE FUNZIONI DEL COLESTEROLO

  • produzione di ormoni steroidei e sessuali. Il colesterolo serve da precursore per formare questi importantissimi ormoni. Va da se che nel caso in cui si prendano le statine i livelli di questi ormoni andrebbero controllati.
  • Bile. La bile, succo digestivo prodotto dal fegato, serve per digerire i grassi. E’ composto per l’80% da acidi biliare, per circa il 15% da lecitina e fosfolipidi che mantengono in soluzione il 4% del colesterolo e acqua.
  • Mantenimento delle membrane cellulari. E’ il cementante di tutte le nostre membrane cellulari e mantiene la struttura ben salda ma allo stesso tempo flessibile.
  • Guaine mieliniche. Esso rientra nella composizione delle guaine mieliniche che rappresentano il rivestimento delle nostre cellule nervose importante per la trasmissione dell’impulso nervoso.
  • sintesi di vitamina D. I raggi solari quando colpiscono la nostra pelle, attivano il colesterolo che sta scorrendo lungo i nostri capillari in pro vitamina D che poi si attiverà attraverso fegato e rene.

Nella terapia cronica con le statine che hanno lo scopo di bloccare l’enzima del fegato che produce colesterolo, queste funzioni sono compromesse e nel caso della vitamina D anche se ci si espone al sole la produzione di vitamina D non avverrà se non in modo insufficiente. Per questo fatto sarà molto importante per chi assume statine assumere anche la vitamina D. Inoltre è importantissimo ricordare che le statine bloccano la produzione del colesterolo epatico bloccando l’enzima che lo produce HMG-CoA reduttasi. Questo enzima normalmente da una molecola di Aceti coA porterebbe alla produzione di colesterolo e di Coenzima Q10. Quest’ultimo ha un’azione importante a livello dei mitocondri: è responsabile del trasporto attivo degli elettroni per la produzione di energia detta ATP a livello muscolare. Proprio per questo molti attribuiscono i dolori muscolari all’utilizza di statine. In realtà a dare problemi muscolari è la carenza di vitamina D che in presenza di statine non viene prodotta se non in modo insufficiente in quanto per produrla occorrerebbe la presenza di colesterolo che viene prodotto per la maggior parte a livello epatico (80%). In effetti a livello muscolare la vitamina D stimola la sintesi delle proteine e la contrazione del muscolo. Assolutamente importante in questi pazienti anche se non hanno dolori muscolari integrare la vitamina D e arrivare a livello ematico almeno di 50 microgammi considerando che 30 servono solo al mantenimento osseo. In questo scenario la vitamina D aiuta anche a regolare la pressione arteriosa agendo sui sistemi di regolazione a livello renale e questo non guasta nel senso che spesso chi fa uso di farmaci per il colesterolo di solito ha anche il problema dell’ipertensione arteriosa.

Quindi il colesterolo non è assolutamente da disprezzare in quanto ha molte funzioni importanti. Inoltre il colesterolo alimentare cioè quello che assumiamo con l’alimentazione contribuisce per il 20% mentre il restante viene prodotto a livello epatico. Ma cos’è che lo fa produrre in eccesso? Quali sono i segnali che fanno azionare l’enzima HMG-CoA reduttasi per la produzione del colesterolo?

  • la presenza di zuccheri, in quanto stimolano la produzione dell’ormone insulina. L’ormone insulina e la presenza di zuccheri insieme, rappresentano uno stimolo all’attivazione dell’enzima che porterà alla produzione del colesterolo. Quindi più che i grassi in sé a stimolare l’enzima per la produzione di colesterolo sono i carboidrati e gli zuccheri semplici insieme a troppo fruttosio
  • l’eccesso di calorie, in quanto rappresenta un segnale per l’enzima a produrre colesterolo e stoccarlo anche come energia. Ad aggravare questo effetto è che l’eccesso calorico spesso è rappresentato da troppi zuccheri e carboidrati.

E’ un concetto che va in controtendenza in una società in cui mass media ed operatori sanitari compresi molti medici fanno guerra ai grassi in particolar modo al colesterolo senza tener conto dell’influenza dei carboidrati, degli zuccheri semplici e del fruttosio

Dr.ssa Sonia Trebaldi

IL MIO APPROCCIO CON L’IPERTENSIONE ARTERIOSA

UNA VISIONE D’INSIEME SECONDO LA MEDICINA E LA NUTRIZIONE FUNZIONALE

La medicina e la nutrizione funzionale a differenza della medicina convenzionale si preoccupa di indagare sulla causa di una patologia andando alla radice più che alleviare i sintomi che è invece l’obiettivo della medicina tradizionale che con l’uso di farmaci agisce sul sintomo. La medicina funzionale non si mette in conflitto con la tradizionale ma possono agire in sinergia per una ottimizzazione dello stato di benessere del paziente a 360°

Valori ideali di pressione arteriosa sono sotto 120 mm/Hg di sistolica e 80 mm/Hg di diastolica. Tra 120-129 mm/Hg di sistolica e 80-84 mm/Hg di diastolica sono valori ancora normali, valori tra 130-139 mm/Hg e 85-89mm/Hg vanno tenuti d’occhio perché facilmente potrebbero salire oltre i 140 mm/Hg. Se ho valori sotto a 140 mm/Hg è importante la modifica degli stili di vita. L’ipertensione arteriosa va trattata secondo le linee guida quando i valori sono maggiori di 140 mm/Hg la si sistolica e 90 mm/Hg la diastolica per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. E’ una patologia diffusissima che aumenta il rischio di eventi cardiovascolari come infarti, stroke emorragico, stroke ischemico ed il più importante fattore di rischio cardiovascolare globale associato all’età, sesso, fumo colesterolo e diabete.

Quando ho una persona che viene da me magra anche a livello di circonferenza vita e riferisce di avere la pressione alta o medio alta, con molta probabilità avrà un sistema nervoso simpatico autonomo in ipertono (è quel sistema nervoso che produce sostanze eccitatorie come le catecolammine) . In questo tipo di paziente andrò a confermare che ci sia un eccesso di insulina. Quest’ultima è un ormone che passa la barriera emato-encefalica andando direttamente sui nuclei del tronco encefalico del sistema nervoso simpatico facendo produrre le sostanze eccitatorie, le catecolammine. Queste vanno in circolo a legarsi ai recettori adrenergici a livello muscolare, provocando vasocostrizione con aumento della pressione arteriosa e liberazione di acidi grassi in circolo. L’insulina a sua volta in questa situazione non riesce ad agire a livello muscolare instaurando una insulino resistenza e iperinsulinemia. Inoltre a livello epatico le catecolammine causano liberazione di glucosio portando ad una ulteriore produzione di insulina. Questo scenario causa:

  • aggravamento della stessa iper insulinemia
  • aggravamento della insulino resistenza
  • iper glicemia poiche il glucosio non riesce ad entrare nelle cellule. Alla lunga si potrebbe manifestare a diabete.

L’iperinsulinemia contribuisce all’ipertensione arteriosa in quanto l’insulina essnedo un ormone anabolizzante e un mitogeno, a livello della muscolatura liscia dei vasi provoca un ispessimento del calibro ed il lume e cosi facendo aumenta le resistenze periferiche.

NEL PAZIENTE MAGRO APPARENTEMENTE IN FORMA MA CON IPERTENSIONE CHE NON ASSUME FARMACI ANTIPERTENSIVI andrò a:

  1. bilanciare i pasti a livello glicemico per fare in modo di controllare la risposta glicemica ed insulinemica
  2. riduzione del sodio fino ad arrivare a 5 gr. di sale
  3. sedare il sistema nervoso simpatico (che essendo in ipertono produce già da sè un eccesso di catecolammine eccitatorie). Personalmente consiglio a questo scopo: la psicologa e psicoterapeuta esperta in tecniche di rilassamento, esercizi di respirazione e training autogeno per il controllo della respirazione ed eventualmente di stati di ansia. Sarà il professionista che deciderà insieme al paziente quale delle tecniche insegnare per rallentare l’ipertono simpatico (con riduzione delle catecolammine eccitatorie) e aiutare così nel controllo della pressione; alimenti sedanti il sistema simpatico. Questi sono ad esempio: patate, carboidrati, pesto, latticini Il calcio contenuto nei latticini blocca l’enzima ACE il quale porta al riassorbimento di sodio e di acqua a livello renale. Ovviamente andrò a ridurre le sostanze che stimolano la produzione di catecolammine come tè, caffè, pesce in quanto lo iodio è un eccitante. Aiuta a normalizzare la pressione arteriosa anche l’aumento di potassio, magnesio e calcio sia come alimenti che con integrazione. Il potassio entrerà nella cellula e il sodio uscirà e porterà con se sé anche acqua abbassando di fatto la pressione arteriosa. Il magnesio è un decontratturante e a rilassare. Il calcio come abbiamo già detto inibisce l’enzima ACE e questo a livello renale riducendo la pressione arteriosa.

PAZIENTE MAGRO APPEARENTEMENTE IN FORMA CON IPERTENSIONE MA CHE ASSUME FARMACI ANTIPERTENSIVI

In questo caso in presenza di farmaci che agiscono a livello renale sul sistema renina-angiotensina-aldosterone occorre stare attenti al livello di potassio nel sangue perché questi farmaci favoriscono l’eliminazione di sodio e di acqua con l’obiettivo di abbassare la pressione ma fanno trattenere potassio. Per questo motivo dovrò stare attenta a non eccedere in potassio. Per il resto riamane valido l’approccio menzionato sopra.

PAZIENTE EVIDENTEMENTE IN SOVRAPPESO O OBESO

in questo tipo di soggetto mi aspetto oltre a un ipertono del sistema nervoso simpatico con aumento delle catecolammine eccitatorie anche un interessamento del surrene e quindi una ipercortisolemia. Qui è importante non iper stimolare il surrene con troppa carne rossa, insaccati e formaggi stagionati. E’ importante la stimolazione del fegato di detossificazione ormonale per esempio facendo uso anche anche di soffritti di verdura.

In ogni caso resta importante l’utilizzo della dieta mediterranea con i dovuti aggiustamenti in caso di uso di farmaci o di diuretici risparmiatori o no di potassio. Infatti se il paziente prende diuretici per ridurre la pressione arteriosa occorre sapere se questi siano risparmiatori o eliminatori di potassio. Per i primi non è indicato esagerare con l’assunzione di potassio, mentre per i secondi potremmo consigliare e pianificare alimenti che ne sono ricchi. Un esempio di diuretico eliminatore di potassio è il furosemide il cosiddetto Lasix E’ sempre importante collaborare con il medico in ogni situazione. Anche nel caso in cui il paziente obeso o sovrappeso può clinicamente optare per una dieta chetogenica sara importante che il medico venga interpellato per valutare eventualmente la sospensione del diuretico. I chetoni prodotti dalla dieta chetogenica infatti portano via il potassio attraverso le urine amplificando l’azione di eliminazione del potassio già esplicata dal diuretico.

In tutti i casi chiedo al medico del paziente di poter valutare la vitamina D. Questa è benefica oltre che per le ossa (che è la minima parte della sua attività) per il cuore, per il sistema immunitario e regola l’espressione di oltre 200 geni. vi sono diversi studi scientifici che suggeriscono che essa regoli il mantenimento della pressione arteriosa agendo sulla inibizione della espressione genica della Renina, enzima coinvolto nella ipertensione. Se il paziente ne è carente sotto a 20 ng/ml, o comunque anche se avesse sufficienti livelli 30 ng/ml andrò a reintegrare in quanto a 30 seppur considerato un apporto sufficiente, verrà consumato tutto per il mantenimento delle ossa. per coprire anche le altre funzioni sara necessario arrivare almeno a 50 ng/ml

Il nutrizionista può fare molto in caso di ipertensione arteriosa collaborando anche con altri professionisti cardiologo, medico di famiglia, psicoterapeuta. La sua azione non si limita alla sola riduzione di sale che seppur importante è una minima parte di ciò che il nutrizionista può fare.

Spero di avervi dato degli spunti di riflessione

Al prossimo articolo

Dr.ssa Sonia Trebaldi

DIFENDIAMO UN BENE PREZIOSO:

LA SALUTE DEI BAMBINI

Questo argomento mi sta molto a cuore e purtroppo il mio cuore a volte piange perché spesso vedo mamme e nonne incuranti che “comprano” il bene dei bambini dando loro merendine e prodotti confezionati di tutti i tipi. Ricordate, quando diamo da mangiare ai nostri figli o ai nostri nipoti abbiamo la loro salute nelle nostri mani e siamo responsabili delle loro piccole vite. Possiamo avvelenarli lentamente giorno dopo giorno, dopo giorno, oppure renderli sani e forti. A noi la scelta. Il gusto per i cibi si influenza nei primi 18 mesi di vita. Successivamente tutto ciò che non è stato registrato dallo svezzamento in poi viene rifiutato dal bambino che non vuole lasciare le sue certezze. Ad esempio se il bimbo non ha mai conosciuto nei primi 18 mesi il sapore dei vegetali con la loro componente moderatamente amara per la presenza di polifenoli e altre sostanze antiossidanti tenderà a respingerli con forza. Se non si tenta di modificare questo meccanismo il comportamento di diffidenza del bambino nei confronti della verdura sarà sempre più netto e sempre più difficile sarà per lui sperimentare nuovi alimenti. Ad un certo punto della sua vita sara alla stregua della pubblicità e delle mode alimentari. Ciò che i genitori dovrebbero fare è di insegnare ai propri figli ad amare il cibo sano, quello dai sapori semplici, quello dai sapori veri. L’industria alimentare con i suoi marchi quotati in borsa certo non bada alla salute di nessuno se nonché al loro profitto. Sborsano fior fior di soldi per pagare specialisti del marketing e chimici d’eccellenza per ricercare tecniche di seduzioni mentali e combinazioni aromatiche che catturano i sensi di chi mangerà quel prodotto, creando una vera dipendenza.

Cosa utilizza l’industria per creare dipendenza nel palato dei bambini e non solo?

Grassi, zuccheri e sale. In realtà questa combinazione viene usta anche per coprire gli ingredienti scarsa qualità. Biologicamente siamo portati a ricercare alimenti ad alta densità calorica. Inoltre ci sono diversi studi che ci dicono che quando assumiamo zuccheri viene stimolata una zona del cervello deputata alla “ricompensa” con conseguente rilascio di dopamina, endorfine quindi di oppioidi endogeni. Questi a loro volta spingono a ricercare alimenti ad alta palatabilità come quelli ad alto contenuto di gassi, zuccheri e sale mettendo in atto un vero circolo vizioso. Questo è ciò che succede ai bambini ma anche agli adulti. Ma andiamo oltre, fino a 2 anni è bene che non si assumano zuccheri. Nonne che mettete il ciuccio dei bambini nel miele, o che zuccherate la camomilla, non va bene! Per i bambini dai 3 ai 6 anni gli zuccheri non devono superare il 5% delle calorie totali giornaliere; dai 6 anni il limite consentito di zucchero è di 25 gr. Cercate di tenere presente questo limite quando date i vostri bambini estathé magari ripetutamente durante la giornata perché un solo solo estathè arriva quasi alla metà del limite giornaliero di zucchero del bimbo.

Se poi aggiungiamo allo spuntino del bambino ad esempio una barretta kit kat che contiene 27 gr di zucchero capiamo bene dove siamo andatia inire. Senza contare quanti altri zuccheri verranno assunti con i cereali per la colazione e con i vai yogurt alla frutta zuccheratissimi.

Quali sono le conseguenze di tutto questo?

L’assunzione di cibi spazzatura con calorie vuote senza nutrienti ma carichi di zucchero oltre che di ingredienti come conservanti e altre forme di zucchero come lo sciroppo del glucosio fruttosio messo tra l’altro in molte bibite gassate, porta a steatosi epatico (fegato grasso) e a disbiosi intestinale con alterazione della flora batterica. Tutto ciò ha come conseguenza predisposizione a obesità e patologie varie come diabete, ipertensione, patologie cardiovascolari e vari tipi di tumore. Richiamo l’attenzione di nonni e genitori per cercare di ridurre la quota di cibi e bevande spazzatura perchè un bambino sano sara un adulto sano. Dipende da noi.

VITAMINA D: IMMUNITA’ A TUTTI I LIVELLI

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PROTEZIONE IMMUNITARIA A TUTTI I LIVELLI

Vi riporto un interessantissimo articolo del 2019 sulla vitamina D che suggerisce come possa svolgere un un importante ruolo nella prevenzione della polmonite interstiziale. Tale articolo è anche al momento spedito dall’ordine dei biologi a noi biologi.

In particolare lo studio è stato condotto in vitro su linee cellulari umane di fibroblasti polmonari ed in vivo su modello murinico di fibrosi polmonare indotta da farmaco.

In conclusione, gli esperimenti con linee cellulari e un modello murino hanno suggerito che la vitamina D potrebbe essere attivata nei polmoni e che l’assunzione di vitamina D potrebbe prevenire la polmonite interstiziale sopprimendo la fibrosi polmonari

In sintesi, dal lavoro sono emersi 3 aspetti fondamentali:
– Le cellule di fibroblasti polmonari esprimo gli enzimi che metabolizzano la vitamina D ed il recettore per la vitamina D.
– La vitamina D riduce, in vitro, l’espressione di citochine proinfiammatorie e degli indici di fibrosi, indotta da bleomicina.
– In vivo (nel modello murino), i sintomi della fibrosi polmonare indotta da bleomicina e l’espressione dei marker di fibrosi sono stati più bassi nel gruppo in cui veniva supplementata la vitamina D.

Ricordiamo che la vitamina D ha recettori a livello di:
Reni
Prostata
Placenta
Cellule del Sistema Immunitario
Cervello
Polmoni

Proprio grazie alla presenza di recettori della Vitamina D a livello polmonare, quest’ultima è normalmente coinvolta nella lotta alle infezioni del tratto respiratorio (Centr Eur J Immunol 2018; 43 (3): 331-334)

Nel 2010 l’EFSA ha dichiarato che la Vitamina D interviene nelle normali funzioni del sistema immunitario e nella risposta infiammatoria (Claim EFSA ID 154,159).

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6877402/

“Gastro protettori” – Inibitori di pompa protonica

Li chiamano protettori dello stomaco, ma dietro c’è un modo da scoprire e da tenere in considerazione. Vanno prescritti al reale bisogno perché usati per lunghissimi periodi di tempo come spesso accade in quanto raramente de prescritti, portano a delle conseguenze non di poco rilievo. Vediamo innanzitutto cosa ci dice l’AIFA, l’agenzia del farmaco

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Nota 1:

Come indicato dall’AIFA gli inibitori di pompa protonica vanno prescritti:

in presenza di terapia cronica con FANS

in presenza di terapia anticoagulante ASA a basse dosi

solo se presenti condizioni di rischio:

  • storie pregresse di emorragie digestive o ulcera peptica non guarita con terapia eradicante
  • concomitante terapia con anticoagulanti e cortisonici
  • età avanzata

La gastro protezione da PPI con FANS o ASA a basse dosi secondo l’AIFA va prescritta solo se esistono le condizioni sopra elencate. se non vi sono queste condizioni con i bassi dosaggi della cardioaspirina (100 mg) non vanno prescritti. Per intenderci l’aspirina, quella classica che usiamo per l’influenza contiene 300 mg di ASA (acido acetil salicilico) e se dobbiamo fare un trattamento prolungato con questo dosaggio occorre farsi consigliare dal proprio medico per valutare la protezione dello stomaco

Nota 48:

Utilizzo di PPI per 4-6 settimane in caso di:

  • ulcera peptica sia in presenza che in assenza di Helicobacter Pylori
  • Malattia da reflusso gastro esofageo con o senza Helicobacter Pylori
  • malattia da reflusso gastroesofageo con o senza esofagite

PPI per 12 mesi poi da rivalutare in caso di:

  • ulcera peptica ed MRGE recidivanti con o senza H. Pylori
  • malattia da reflusso gastroesofageo recidivante con o senza esofagite
  • sindrome di Zollinger-Ellison

QUANDO NON VA USATO?

  • Il termine “gastroprotettori” induce la persona a credere che sia un farmaco pressochè innocuo, tant’è che spesso sono usati nella dispepsia, cioè quando si hanno dei fenomeni di mal digestione. Questo utilizzo non è corretto
  • se una persona assume la cardioaspirna che contiene 100 mg di acido acetil salicilico (ASA) perché ha una manifestazione aterosclerotica e non ha le condizioni sopra elencate dall’AIFA che ne giustifichino l’utilizzo, il PPI non andrebbe prescritto. Rimane comunque la discrezionalità del medico o del cardiologo, ovviamente.

QUALI SONO I RISCHI NEL SEGUIRE UNA TERAPIA A LUNGO TERMINE CON PPI “gastroprotettori”

  • Trovando un ambiente con una alterazione del ph (acidità) c’è il rischio che i batteri dal colon proliferino salendo al tenue provocando gonfiori e fermentazioni intestinali. Inoltre vi è aumentato rischio per traslocazione batterica di infezioni intestinali da Salmonella e Campylobacter importante causa di morbilità e di mortalità.
  • rischio aumentato di fratture per diminuzione della disponibilita di calcio e per aumento dell’ormone paratiroideo, ormone che rilascia dalle ossa calcio allo scopo di alzare al calcemia
  • aumentata incidenza di Alzheimer per l’aumento di produzione di proteina beta amiloide

QUALI SONO LE CARENZE NUTRIZIONALI CHE SI POSSONO AVERE IN CASO DI TERAPIA PROLUNGATA CON GLI INIBITORI DI POMPA PROTONICA “gastroprotettori”?

Il nutrizionista di fronte a una persona che fa terapia con inibitori di pompa protonica soprattutto se in atto da qualche anno, deve accertarsi che non ci siano queste carenze nutrizionali:

  • viamina B12

La carenza di vitamina B12 è molto frequente in questi pazienti. L’acidità e quindi la produzione di acido cloridrico, libera la vitamina B12 dalle proteine degli alimenti ingeriti. Una volta liberata la vitamina B12 viene legata al fattore intrinseco di Castle (che viene prodotto dalle cellule parietali della mucosa del fondo e del corpo dello stomaco) e trasportata lungo l’intestino tenue fino all’ileo dove viene assorbita. l’utilizzo di inibitori di pompa protonica PPI bloccando la produzione di acido cloridrico a livello dello stomaco, blocca tutto questo meccanismo impedendo inoltre l’assorbimento della vitamina B12. La carenza di questa vitamina porta ad anemia megaloblastica. Esistono integratori che hanno vitamina B12 e fattore intrinseco per chi ha subito chirurgia bariatrica o per chi deve fare trattamento con gli inibitori di pompa protonica

  • ACIDO FOLICO

L’assorbimento di acido folico viene compromesso dal fatto che cambia il ph lungo l’intestino. In questi soggetti andrebbe integrato 400 mcg al giorno di folato. Per l’integrazione scelta la forma di acido folico più bio disponibile in quanto spesso negli integratori è presente una forma che per chi ha una mutazione genica non verrà utilizzato. Tale mutazione genetica è molto frequente nella popolazione

  • FERRO

Per lo stesso motivo dell’acido folico anche l’assorbimento del ferro è inibito. Questo può comportare l’instaurarsi di anemie e ciò puo essere un problema soprattutto nelle donne in età fertile per il discorso delle predite legate anche al ciclo. La situazione peggiora ancor di più se la donna in questione ha anche infezione da H. Pylori che come sappiamo è avido di ferro

  • MAGNESIO

L’inibitore di pompa protonica può interferire con il trasporto attivo del magnesio e quindi con il suo assorbimento comportando possibili gravi conseguenze per ipomagnesemia. In effetti l’FDA raccomanda ai cardiopatici ad alto rischio che hanno bisogno di un trattamento prolungato con PPI di controllare in modo periodico la magensemia, questo perché la carenza potrebbe comportare la comparsa delle aritmie soprattutto se il farmaco si assume da oltre 5 anni.

CONCLUSIONI

E’ importante prescrivere questi farmaci preziosi se usati correttamente, al dosaggio più basso e per il periodo di tempo più breve possibile. Occorre rivalutare la terapia e de prescrivere se non ce n’è più bisogno
Fortemente raccomandata anche la rivalutazione periodica dei pazienti che li assumono cronicamente, per cogliere eventuali stati carenziali o effetti indesiderati da trattamento prolungato con PPI.

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=33651

I folati e l’acido folico: integrazione si o no? quale integrazione?

A cosa servono i folati e l’acido folico?

Il nostro organismo utilizza l’acido folico (vitamina B9) per produrre nuove cellule. La vitamina B9, attraverso meccanismi non ancora del tutto noti, è essenziale per la sintesi del Dna e delle proteine e per la formazione dell’emoglobina, ed è particolarmente importante per i tessuti che vanno incontro a processi di proliferazione e differenziazione, come per esempio, i tessuti embrionali. Per questo, negli ultimi decenni, l’acido folico è stato riconosciuto come essenziale nella prevenzione di alcune malformazioni congenite, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale. Inoltre, non si esclude la possibilità che possa intervenire anche nella prevenzione di altri difetti e malformazioni congenite, come la labio-palatoschisi e alcuni difetti cardiaci congeniti. L’acido folico, inoltre, contribuisce a prevenire altre situazioni di rischio alla salute. La sua presenza abbassa i livelli dell’aminoacido omocisteina, associato al rischio di malattie cardiovascolari e infarti, anche se al momento non si può stabilire una associazione diretta tra assunzione di folati e riduzione del rischio cardiaco. C’è un gene importante nell’attivazione dei folati e dell’acido folico in 5 metil tetraidrofolato che è la forma attiva e biodisponibile per l’organismo. In caso di mutazione genetica i folati che sono quelli presenti nella verdura e l’acido folico presente negli integratori non verranno utilizzati. Le mutazioni che causano malfunzionamento del gene, sono la C677T e la A1298C. Se un soggetto ha una di queste mutazioni avrà una ridotta attività dell’enzima deputato all’attivazione dei folati e dell’acido folico. Il risultato sarà un accumulo dell’omocisteina la quale non potrà essere rimetilata per riformare la metionina con conseguente accumulo appunto dell’ omocisteina. Questo amminoacido è implicato nel danneggiamento dell’epitelio dei vasi e nell’ossidazione del colesterolo LDL favorendo cosi la formazione della placca aterosclerotica e predisponendo all’aumento del rischio cardiovascolare. Oltre al discorso dell”omocisteina c’è anche da dire che in particolare la mutazione genetica A1298C è una mutazione associata a disordini intestinali e digestivi quindi associata a sindrome dell’intestino irritabile e gastriti; la mutazione del gene C677T è associata a poli abortività o aborti ricorrenti, difetti del tubo neuronale nel primo trimestre e disordini neurologici. Quindi, nel gestire la situazione legata all’accumulo di omocisteina, è importante andare a vedere quale mutazione è presente per gestire altri fattori dietetici importanti come il glutine, i latticini, le vitamine e l’eventuale integrazione di omega 3. Sia i folati contenuti negli alimenti che l’acido folico contenuto nei preparati nutraceutici, per essere attivati devono essere modificati cioè metilati grazie al gene MTHFR. Nel caso ci fossero le mutazioni questa attivazione risulterebbe poco efficiente.

Cosa fare in caso di mutazione?

Il 40% della popolazioen ha la mutazione del gene MTHFR. In questo caso OCCORRE ASSUMERE un integratore sotto forma di 5 metilene tetraidrofolato che essendo la forma attiva sarebbe utilizzabile dall’organismo senza subire ulteriori processi di trasformazione. Rientrano in questo processo anche alcune vitamine come la B!” e la B6.

Riassumendo

se avete una omocisteina alta e/o se sapete di avere la mutazione, occorre assumere

  • metilene tetraidrofolato e insieme o separatamente le vitamine:
  • B 12 (in forma attiva di metil cobalammina)
  • B6

ed eventualmente a seconda della mutazione genetica

  • Omega 3 attraverso l’assunzione di pesce azzurro e valutare una integrazione
  • probiotici
  • assunzione di uno stile di vita adeguato a prevenire eventi cardiovascolari: fumo, alimentazione ricca di fibra, selenio e vitamine antiossidanti come la C e la E me protettiva come la vitamina D

Assumere alimenti che contengono maggiormente folati:

  • lattuga
  • broccoli
  • spinaci
  • asparagi
  • legumi

meglio se cotti a vapore oppure a crudo come possono essere assunti gli spinaci o la lattuga perché i folati vengono persi per circa il 95% con la cottura essendo idrosolubile

Fatevi aiutare da un nutrizionista per un corretto inquadramento del problema e per consigli nutraceutici mirati in base alla vostra situazione.

Dr.ssa Sonia Trebaldi

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24091066

http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_1.jsp

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27520898

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7563456

Lo sciroppo di glucosio-fruttosio: facciamo attenzione agli snack e alle bevande soprattutto per i più piccini

Lo sciroppo di glucosio-fruttosio

facciamo attenzione agli snack e alle bevande soprattutto per i più piccini

Lo sciroppo di glucosio-fruttosio consiste in zuccheri diffusissimi nell’industria dolciaria non hanno nulla di naturale a dispetto del loro nome (glucosio o fruttosio) e derivano dalla modificazione industriale di zuccheri complessi di riso o di mais https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27768909.  Se vediamo la dicitura sciroppo di glucosioin realtà stiamo parlando di un mix di zuccheri glucosio e fruttosio in proporzioni variabili. Tanto più è elevata la presenza di fruttosio e tanto più è elevata la solubilità in acqua ed il potere edulcorante cioè di dolcezza. Il fruttosio sviluppa il massimo potere edulcorante in presenza di forte acidità e a basse temperature, infatti nelle bibite gassate come ad esempio la coca cola sono presenti acidi inorganici proprio per aumentarfne l’acidità. Quindi, di fatto questo sciroppo è molto utilizzato oltre che negli snack, anche nelle bevande analcoliche e nelle bevande gassate che spesso diamo propio ai bambini.

Inoltre ci sono studi che avrebbero delle basi per indicare che l’eccesso di zucchero sarebbe implicato nel deficit cognitivo e nell’iperattività dei bambini.

Gli zuccheri in questione vengono assorbiti molto rapidamente passando nel circolo ematico e nel fegato vengono trasformati in trigliceridi (grasso). E’ bene limitarne il consumo di sciroppo di glucosio-fruttosio soprattutto per i più piccini perché ci sono evidenze scientifiche che ci dicono che questi zuccheri oltre all’aumento della massa grassa, modificano il metabolismo tanto da aumentare il rischio di patologie come steatosi epatiche (fegato grasso), diabete, cardiopatie e tumori.

Vogliamo davvero tutto questo?

Abbiate a cuore la salute dei vostri figli. La salute inizia con l’alimentazione e inizia da piccoli, di questo noi adulti ne abbiamo la responsabilità.

Dottoressa Sonia Trebaldi

Biologa Nutrizionista Dietista Master di II livello in nutrizione nutraceutica e dietetica applicata

NUTRIZIONE E DISTURBI NEUROPSICHIATRICI. PROSPETTIVA CONCRETA DI UN APPROCCIO BIOPSICOSOCIALE

NUTRIZIONE E DISTURBI NEUROPSICHIATRICI. PROSPETTIVA CONCRETA DI UN APPROCCIO BIOPSICOSOCIALE

Oggi stiamo affrontando una vera crisi nutrizionale. La dieta occidentale ad alto contenuto di grassi ed energia ma priva di nutrienti e sostanze bioattive, è associata a deficit cognitivo e disturbi neuropsichiatrici come la demenza. In tutto il mondo le malattie psichiatriche stanno aumentando fortemente. E’ oramai appurato che tali patologie hanno una base multifattoriale, quindi sono responsabili più fattori:

  • Genetica
  • Infiammazione
  • Squilibrio dei neurotrasmettitori
  • Stile di vita

Molte sono le evidenze scientifiche che mettono in evidenza il ruolo di altri fattori come

  • la nutrizione

In questa ottica l’approccio psico-socio-nutrizionale secondo il metodo bio psico sociale è sicuramente il modo migliore per trattare i disturbi neuropsichiatrici poiché essendo delle patologie multifattoriali non possono essere trattati solamente dal punto di vista psicoterapico o solo farmacologico ma anche dal punto di vista nutrizionale e di life styling. Il coaching nutrizionale è uno strumento non farmacologico, economico oltre ad essere promettente per la prevenzione e il trattamento dei disturbi neuropsichiatrici. In uno studio pubblicato nel The American Journal of Psychiatry è emerso che la consulenza nutrizionale è efficace quanto la psicoterapia. Nello studio si è visto che il supporto nutrizionale è risultato efficace nel ridurre del 50-60% i sintomi depressivi e nel migliorare la qualità di vita dei pazienti con sintomi depressivi subclinici.   La dieta occidentale ricca di grassi e/o di zuccheri porta ad un aumento dello stress ossidativo che è causato da una parte dalla caratteristica carenza di vitamina C in tale stile alimentare e dall’altra dall’aumento dello stress ossidativo che ne causa la deplezione essendo la vitamina C un antiossidante che quindi cerca di ovviare allo stress ossidativo. lo stress ossidativo causa un’alterazione del fattore di crescita BDNF (fattore neurotrofico derivante dal cervello); il BDNF è una proteina coinvolta nella sopravvivenza e nel differenziamento neuronale, nella plasticità sinaptica, nella formazione delle sinapsi e nella neurogenesi del cervello adulto. La carenza di vitamina C porta anche alla alterata produzione dei neurotrasmettitori neuroamminergici Tutte queste alterazioni si sono riscontrate nella regione della corteccia frontale e dell’ippocampo delle cavie a studio interessando le funzioni cognitive, mnemoniche e dello spazio a testimoniare l’associazione fra la dieta occidentale e Alzheimer

In cervello fa affidamento su vitamine, minerali, amminoacidi e grassi forniti attraverso la dieta. Il nostro stile di vita e la spinta commerciale dei mass media ci porta ad assumere cibi ad alta densità calorica, ma nutrizionalmente vuoti. Di conseguenza siamo sovralimentati ma denutriti. In particolare siamo carenti di tutti quegli elementi che regolano le funzioni cognitive come la vitamina C di cui abbiamo parlato, le vitamine del gruppo B, l’acido folico, il magnesio e lo zinco. Tutto questo scenario in cui si somma il basso apporto di fibra da verdura e frutta predispone ad un intestino permeabile che causa a sua volta un aumento della risposta immunitaria e a una neuro infiammazione cronica che è una delle principali cause della malattia mentale. Infatti le citochine molecole derivanti dall’aumento dell’infiammazione sono coinvolte nella fisiopatologia dei disturbi neuropsichiatrici come la depressione e l’ansia.

L’intestino permeabile oltre che da quanto esposto può essere causato da un contatto cronico con il glutine sia in soggetti celiaci che non celiaci. La gliadina del glutine costantemente a contatto con gli enterociti (cellule dell’intestino) porta a una sovra espressione della zonulina, proteina che legandosi ai specifici recettori causa l’apertura delle giunzioni serrate permettendo il passaggio di allergeni, batteri dall’intestino al sangue causando infiammazione.

Oggi in base alle conoscenze che abbiamo a disposizione non è più pensabile trattare i disturbi neuropsichiatrici su un solo fronte ma deve farsi strada un modello di trattamento integrato psicoterapico, farmacologico, nutrizionale e di stile di vita con il paziente al centro.

Dott.ssa Sonia Trebaldi

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29655945

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4083759/

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30223263

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16635908