di Cinzia Valenti

Spesso mi sento dire, come capita sempre anche ai miei colleghi, “tu sei psicologa, mi leggi il pensiero ed allora ciò che dico già ti fa capire come sono!”.

Sono perplessa nel vedere come, nel tempo, tale atteggiamento tra i più sia rimasto invariato e immutato come lo è lo screditare lo psicologo alla stregua del ciarlatano e mago da vari miliardi e non 4 soldi (magari avessi fatto la maga, sarei ora miliardaria appunto!!).

La mie colleghe sanno di cosa parlo.

Ma cos’è la psicoterapia? C’è chi pensa seriamente che sia un percorso bellissimo, di solo benessere. Dove apri una porta e assapori massaggi esoterici e carezze dell’anima che ti fanno poi saltellare di gioia all’uscita dello studio. Dove sparisce pianto, dolore e sofferenza e dove dopo un periodo prestabilito (non da te ed il paziente ma dal SOLO PAZIENTE o, peggio, dai famigliari) il soggetto (paziente o cliente lo vogliamo chiamare) debba “resuscitare” e diventare un’altra persona, completamente diversa da prima: solare, allegra, gioiosa e strafelice…cioè una persona che non ha più problemi o che affronta la vita con dinamicità e coraggio!

La psicoterapia però è prima di tutto CAMBIAMENTO… una parola che ci deve far riflettere.

Il cambiamento è affrontato in maniera diversa da ognuno e così anche percepito in maniera totalmente differente.

C’è chi affronta il cambiamento con slancio quasi cieco…non teme le novità, non ha paura del buio, delle altezze e delle relazioni. Cambia amicizie e partner come mangia popcorn o chewingum. Non ha affatto empatia e crede che ogni scelta dipenda da solo da sé stesso/a e che tutto ruoti intorno a sé. Sono le persone che mai andranno dal terapeuta, per loro non serve a nulla. Non può servire “parlare dei c…i miei con qualcuno, che mi risolve!”. Sono le stesse persone che con gli amici si vantano di essere forti, grandi e vincenti, ma la prima vera sconfitta li mette a terra come cachi maturi. Poi magari si rialzano ma senza resilienza: non più forti …ma man mano sempre più vuoti e deboli.

C’è poi chi affronta il cambiamento con curiosità e sane aspettative. Ama conoscere gli altri e si relaziona con lealtà, senza aggredire né prevaricare. Sono persone più o meno sensibili; più o meno empatiche. Forti e deboli, in equilibrio e quanto basta per camminare sul filo sospeso della loro esistenza. Sono i resilienti: quelli che dopo le grandi sconfitte, i crolli ed i lutti…con sofferenza e dolore si risollevano e ne escono migliorati. Sono i deboli (visti dai primi – vedi sopra-) ma quelli davvero forti che si commuovono spesso fuori oppure dentro, a volte nascosti. Sono i migliori anche in terapia: sanno prendere tanto ed allo stesso tempo dare tanto. Ne ho incontrati tanti e li ricordo tutti nel mio cuore, come coraggiosi ed impavidi guerrieri che sono riusciti ad emergere dal campo di battaglia della loro vita.

C’è poi chi affronta il cambiamento con timore, a volte orrore ed a volte IMMOBILITA’. Vengono in terapia… a volte non spontaneamente, spesso spinti da altri. Non si muovono molto, restano immobili, come può essere immobile un uccellino impaurito di fronte ad un leone. Ma il terapeuta li spinge a fare passi…verso il cambiamento, verso la vita…una vita che temono e che non hanno nessuna voglia di affrontare. Poi il terapeuta capisce che dietro quella paura di vivere c’è la paura di allontanarsi da chi li tiene in gabbia…perché vivere in gabbia non è bello ma può essere comodo, tranquillizzante, anche se non desiderabile ed auspicabile. Il terapeuta li spinge ad uscire dalla gabbia ma…nel momento in cui la aprono e sono pronti a volare…la mano del loro “padrone” li ferma e chiude di nuovo la gabbia. A quel punto è la fine…il loro “padrone” dice al terapeuta “la terapia non funziona, non serve a nulla, bisogna smettere” … il “prigioniero” annuisce e torna ad essere …in gabbia della sua stessa esistenza!

Chi ha fallito? Il terapeuta doveva essere bravo ad aiutare il suo paziente/cliente ad aprire la gabbia in un momento di assenza del padrone? Doveva spingere il soggetto a fuggire?

Questo non sempre si può fare, perché ci sono persone fragili (uccellini impauriti e feriti) che non vivrebbero un giorno fuori dalla gabbia!

Il terapeuta dovrebbe lavorare sul rafforzamento delle competenze e delle “energie” adatte a prepararsi alla “fuga”. Questo è il giusto cammino ma il più insidioso e difficile, sia per il soggetto sia per il terapeuta.

Il primo rischia varie ricadute e riacutizzazioni del dolore e dei sintomi; il secondo rischia di sentirsi dire che “la terapia non ha funzionato perché sto peggio di prima!!”.

MA VOGLIAMO CAPIRE UNA VOLTA PER TUTTE CHE LA TERAPIA LAVORA ANCHE SU QUELLO “STARE PEGGIO”?

Anche “lo stare peggio” è un sintomo ed un segnale di cambiamento. Non possiamo arrivare su di un’isola splendida senza attraversare il mare. Il mare limpido, calmo …ma anche quello mosso, nero di burrasca e pieno di insidie.

Rinunciare è tornare al porto sicuro, alla confort zone, il “male conosciuto” per evitare l’ignoto che rappresenta la nostra libertà e la nostra “salvezza”!

Un pensiero riguardo “La terapia ed il cambiamento

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